La Casa d’accoglienza San Giuseppe e Santa Rita, patrimonio della nostra comunità

Pubblicato il 16 Novembre 2009

La chiesa di San Francesco era gremita venerdì sera per la presentazione del libro di Novella Scardovi, Dalla tenda alla casa. La mia vita rinata in un incontro.

 

Luogo più consono non poteva esserci perché la sua struttura esprime l’abbraccio pieno di misericordia della Chiesa.

Ed è proprio questo il senso profondo della vita di Novella: l’incontro con alcune persone, avvenuto nel campeggio di Palazzuolo, fu per lei l’esperienza di un abbraccio in cui riconobbe la tenerezza di Dio: da orfana si sentì finalmente a casa. Tale esperienza personale generò la certezza che ogni uomo ha bisogno di una casa, di un incontro e di un luogo dove il suo desiderio di bene venga accolto e abbracciato.

E chi incontra questo abbraccio ne resta segnato per sempre, come ha documentato un commosso Jader Dardi, all’epoca sindaco di Castel Bolognese. “La prima volta che Novella mi espose il suo progetto dissi: Voi siete due matti, ma ditemi di che cosa avete bisogno”. Nacque un’amicizia vera, sincera, un legame solido. Nella loro opera a favore degli ultimi rintracciava le ragioni profonde del suo fare politica maturato nell’ambiente familiare. Per questo fu naturale la collaborazione dell’amministrazione comunale nella realizzazione della casa in anni in cui si respirava ancora un clima da don Camillo e Peppone: “Nel rapporto con Novella e con tutti gli amici della casa nessuno mi ha mai fatto pesare il mio essere laico”.

Poi venne l’8 maggio, il giorno della sua morte. “Dissi subito: La casa deve andare avanti. E questo è accaduto perché quella famiglia è stata capace di coinvolgere molti altri”. “Abbiamo bisogno di buoni esempi, conclude Jader; Novella e la casa d’accoglienza sono molto importanti e devono essere sentiti come patrimonio di tutta la comunità”.

Adele Tellarini, che condivise la vocazione di Novella fin dal 1987 e che da tredici anni ha la responsabilità dell’opera, ha ricordato l’esperienza di bene fatta nel rapporto con Novella, un bene che si manifestava in tante piccole cose, da come preparava il letto quando la ospitava, al modo di cucinare. Ed è questa modalità che vive nella casa: senza il bene l’uomo non può vivere e il bene passa nel quotidiano. Un bambino, ospite nella casa, in questi giorni ha detto: “Per fortuna che c’è stata Novella, se no adesso io come farei?”.
Come sempre, la semplicità dei bambini mette in luce la verità. Per Novella la casa doveva essere un segno per rendere evidente a tutti ciò che fa rinascere la vita. È quanto ha sottolineato Fabio Catani, presidente della Fondazione Novella Scardovi: “Ciò che ha cambiato la sua vita è stato incontrare Colui che risponde al desiderio di felicità. Anche noi abbiamo bisogno di un luogo dove imparare a vivere, rispondendo al desiderio di amore, di verità, di bellezza, per essere lieti nel costruire, nel compito quotidiano a cui siamo chiamati in famiglia, nel lavoro, nella società”.

Parlando di san Benedetto e dei suoi tempi Giovanni Paolo II ebbe a dire: “Era necessario che il quotidiano diventasse eroico e l’eroico quotidiano”. È quanto abbiamo visto nella vita di Novella, che ha reso evidente come la felicità, il compimento, passino attraverso il dono di sé commosso, cioè la carità.

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