Rassegna Stampa

“Giacomo, il mio piccolo missionario” – Recensione

di Andrea Mobiglia 15 Novembre 2021

Giacomo, il mio piccolo missionario è la struggente testimonianza di una madre, un viaggio nell’intimo del suo cuore che narra la breve vita del suo bambino, volato in Cielo dopo 7 ore e 44 minuti di vita al di fuori del grembo.
Giacomo è il bambino che Silvia, sua mamma, sta aspettando insieme a suo papà Roberto, il primo maschio dopo tre femmine, ma da subito la peggiore delle diagnosi cambia il modo in cui i genitori vivranno i mesi dell’attesa: il piccolo è anencefalo, «malformazione incompatibile con la vita». Da quella diagnosi tutto sembra cambiare: Silvia riscopre che la gravidanza è un sì che serve ripetere tutti i giorni e, soprattutto, scopre di non voler perdere neanche un giorno di quell’esperienza in compagnia di quel piccolo che si sta pian piano formando nel grembo, così decide di tenere sotto forma di diario tutti i dialoghi tra lei e Giacomo: «Visto che sembra che non potrai stare con noi se non per qualche minuto o qualche ora, voglio dedicarti quanto più tempo e amore posso in questi mesi in cui sei dentro la mia pancia» (pag. 42).
Il libro è la narrazione della meravigliosa esperienza dell’attesa, la testimonianza della vita intesa come mistero e come dono e, in definitiva, come qualcosa che non è nelle mani dell’uomo. È anche la storia dell’amore materno, dell’amore che solo una mamma può avere nei confronti del proprio figlio, indipendentemente da tutto il resto: «Sei sempre con me, Giacomo. Ti voglio ogni giorno più bene, piccolino mio» (pag 46). Racconta l’esperienza di fede di una madre e di un padre e del loro bambino, un’esperienza difficile, dove devono fare i conti non solo con le difficoltà burocratiche di vivere in un paese come Dubai, ma soprattutto con quelle più profonde e intime: aspettare con ansia di dare alla luce il proprio figlio con la coscienza che il giorno della sua nascita sarà anche quello della sua partenza per il Paradiso.
Leggere questo libro pone varie domande, tra le tante emerge preponderante questa: cosa dà valore alla vita? Il tempo vissuto, gli amici, gli affetti, i risultati ottenuti, la carriera? Come si misura il valore della vita? Giacomo è davvero un missionario, con la sua breve vita ha testimoniato e fatto testimoniare ai suoi genitori davanti a tutto il mondo che il loro figlio ha valore perché c’è, perché è il loro figlio, così com’è; a Dubai l’aborto, praticamente vietato, è previsto per i casi come il suo, e Silvia e Roberto, come loro stessi hanno scritto, si sono trovati a visitare tantissimi ospedali, testimoniando a tutti che Giacomo ha valore unicamente perché c’è ed è vivo, non per altro: «Tu sei davvero speciale, per i bimbi come te l’islam ammette l’aborto (unico caso a Dubai, visto che in tutti gli altri casi è vietato per legge!) e allora ieri il tuo papà diceva: “Il Signore vuole proprio che questo bambino nasca qui a Dubai”» (pag 46).
È un libro che fa piangere e che commuove, ma soprattutto che parla della certezza della fede di un uomo e di una donna, provati ma felici, una testimonianza autentica di cosa vuol dire essere genitori, non per una definizione scritta da qualche parte ma per un’esperienza vissuta: «Come padre il mio compito è introdurre i miei figli nella realtà, non potendo mai sostituirmi a loro, lottando per poter dar loro tutti gli strumenti possibili, ma sapendo che il loro destino non dipende da questo» (pag. 96).
Questo libro è la narrazione degli incontri e dei miracoli accaduti durante la vita di Giacomo e anche dopo la sua nascita al Cielo, non si può leggerlo senza rimanerne in qualche modo cambiati.

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