Il viaggio di Itaca

Nessuna razza può prosperare fintanto che non impara che c’è altrettanta dignità nel coltivare un campo che nel comporre una poesia.

Booker T. Washington

Sono nato e cresciuto in terra di Romagna in una radicata tradizione contadina, ma fin da piccolo ho sentito una profonda attrattiva per tutto ciò che è cultura.
Scelsi studi classici.

Ebbi la possibilità di imbattermi in uomini di cultura e sacerdoti di grande umanità e solida formazione accademica. In loro la conoscenza non aveva alcun carattere intellettualistico, ma il sapore di qualcosa che aveva a che fare con la vita e il suo significato più profondo.

Ascoltarli mi affascinava: le pagine della storia, i geni artistici, i testimoni diventavano compagni di viaggio, arricchivano il mio desiderio di una vita piena e spesa perché tutti potessero conoscere quelle pagine.

Mi iscrissi a Filosofia e prima di laurearmi, mi fu proposto l’insegnamento di religione presso l’istituto tecnico Sacro Cuore di Lugo di Romagna. L’anno seguente mi fu affidata una cattedra di italiano e storia.

Fin dal primo giorno in cui, giovanissimo e timidissimo, entrai a scuola, mi sentii accolto e trattato con grande rispetto.

Per quindici anni mi dedicai con passione all’insegnamento dei giovani, mosso dal desiderio che potessero percepire e sperimentare ciò che io sentivo così profondamente vero, e certo che fosse quella la mia strada.

Nell’agosto 1982 Giovanni Paolo II intervenne al Meeting per l’amicizia fra i popoli di Rimini, concludendo con una consegna: “Generare una civiltà che nasca dalla verità e dall’amore! Fratelli e sorelle, costruite senza stancarvi mai questa civiltà! È la consegna che oggi vi lascio. Lavorate per questo, pregate per questo, soffrite per questo!”.

Quella consegna mi spinse a dedicarmi con ancora più intensità all’organizzazione di attività culturali e alla pubblicazione dei testi degli incontri del centro culturale La Traccia.

Non disponevo di mezzi professionali: per l’impaginazione utilizzavo, al posto di un vero tavolo luminoso, una cassetta di compensato con due neon sul fondo, che illuminavano il vetro sovrastante sul quale ponevo un foglio di carta millimetrata. In tal modo era possibile rispettare la gabbia tipografica e far sì che le pagine risultassero uguali e ben allineate. Battevo i testi su una macchina da scrivere Olivetti, che era in grado di impaginare anche a destra e stampavo poi in tipografia.

Il passaggio dal ciclostile alla stampa offset per quei tempi fu una novità. La scelta di puntare sulla qualità del prodotto – molta cura dedicavo alla revisione dei testi sbobinati dalla registrazione – fu ampiamente ripagata. Un libretto su Medjugorje, stampato quando ancora nessun prodotto editoriale era uscito sul tema – vendette oltre 3.000 copie. Ma furono soprattutto i Corsi maturandi a gettare le basi di Itaca. Li portavo con me ai vari raduni nazionali di insegnanti e li lasciavo ad alcuni amici in conto vendita perché li portassero nelle loro città. In questo modo iniziavo piuttosto inconsapevolmente l’attività di editore e distributore.

Quando ripenso a quel lungo arco di tempo, mi rendo conto che l’attività culturale era inevitabile per me, il segno di un compito che allora si andava preparando, di cui gli anni dell’insegnamento sono stati un momento fondamentale per la sensibilità educativa che hanno generato. Prerogativa non solo dell’insegnante, ma anche di ogni imprenditore, specie nei confronti dei giovani.

ITACA

Nel tempo maturò l’idea di fondare una cooperativa per poter sviluppare questa attività, che mi attirava sempre di più. Il 16 dicembre 1989 andai a Lugo di Romagna insieme a nove amici per costituire la cooperativa Itaca. Capitale sociale: sei milioni e cinquecentomila lire. Scopo: «contribuire al rinnovamento culturale della società e alla realizzazione di una convivenza più umana».

Non avevamo risorse, ma un obiettivo chiaro: editare, promuovere e diffondere prodotti editoriali, anche di altri editori, che favorissero una coscienza critica della realtà. Libri come compagni di viaggio. Non il viaggio per il viaggio, ma il viaggio per trovare il senso, se stessi, la casa, cioè la compagnia e la fraternità con gli altri.
Avevo di recente letto un’intervista a Mircea Eliade nella quale egli diceva che Ulisse è l’emblema dell’uomo come essere braccato che nel labirinto della vita rischia di smarrirsi, ma se trova la strada per ritornare a casa, a Itaca, allora egli diventa un altro essere. Ciò che muoveva me e quegli amici disposti ad aiutare i primi passi della cooperativa era un’idea di cultura come il lavoro attraverso cui l’uomo si prende cura di sé: volevamo entrare nel vivo del dramma dell’uomo.
Avevo trovato il nome di quel tentativo: Itaca.

Il primo catalogo raccoglieva dispense prodotte – talora col ciclostilato – da centri culturali e libri editi da Jaca Book, Russia Cristiana, CSEO… Pubblicazioni per lo più ai margini dei circuiti commerciali, ma che documentavano una vita che scorre, anche laddove il potere cercava di soffocarla.
Dopo poco capii che Itaca aveva bisogno di una dedizione maggiore e per potersi sviluppare, avrei dovuto lasciare l’insegnamento. Fu una scelta molto sofferta e piena di dubbi.

Ero sposato da 14 anni, avevo due figlie. Lasciare uno stipendio certo per un’impresa dal rischio altissimo – come in molti mi facevano notare – sembrava un salto nel vuoto. Sostenuto e incoraggiato da mia moglie decisi di farlo comunque. Al bilancio familiare provvedeva lei col suo lavoro da insegnante, mentre io contribuivo in maniera seppur minima con un lavoro part time.

Non avevo esperienza del settore; mi sentivo – ed ero – l’ultimo arrivato ed ero consapevole di avere tutto da imparare. Quanta strada per conoscere persone, ascoltarle, chiedere consigli! Quanta strada e tempo per portare i nostri libri dove poteva esserci un mercato! Capii che la grande distribuzione libraria non sarebbe mai stata interessata al nostro prodotto e così aprii un sito di e-commerce www.itacalibri.it: era il 1998.
Fu quello l’anno della svolta. Un problema di salute mi costrinse quasi all’inattività per sei mesi, eppure proprio in quei mesi maturarono circostanze decisive per la crescita e il consolidamento di Itaca, che furono molto repentini.

Due anni prima era stata assunta la prima collaboratrice ed era stata aperta la prima sede (28 mq); nel 1999 acquisii un reparto editoriale (attrezzature e persone) e affittai un secondo locale di circa 100 mq. A maggio 2000 Itaca si trasferì in una nuova sede, di 1300 mq. Nuova anche la forma societaria, una srl di cui ero socio unico: negli anni i soci fondatori della cooperativa erano stati assorbiti dalle loro occupazioni.

Vari i fattori di crescita: la partnership commerciale con importanti editori, in particolare Rizzoli, la collaborazione con diverse realtà tra cui la Cooperativa Editoriale Nuovo Mondo e l’Associazione Meeting per l’Amicizia tra i popoli per la pubblicazione dei cataloghi delle mostre.

Inaspettatamente nel 2008, in vista dell’Anno Paolino, il Servizio Nazionale per il Progetto Culturale della CEI mi propose di realizzare una mostra su san Paolo. «Sulla via di Damasco. L’inizio di una vita nuova» conterà 117 allestimenti in Italia e 17 all’estero con 7 traduzioni, tra cui l’arabo. Per un anno girai l’Italia a presentare la mostra: un’esperienza indimenticabile.

Il successo della mostra giunse a compimento di un decennio di costante crescita. Maturai così la decisione di costruire una nuova sede per dare una migliore condizione di lavoro a quanti lavoravano in magazzino, messi a dura prova nelle calde giornate d’estate. Ma nel profondo la costruzione della nuova sede era segno di una speranza per il futuro. Al funzionario di banca che mi faceva notare i miei 54 anni rispetto alla prospettiva di un leasing ventennale risposi, sorridendo: “Farò come i Vescovi: andrò in pensione a 75 anni!”.

A luglio 2009, quando c’era solo il terreno, fissai con il costruttore la data di inaugurazione: 19 marzo 2010, festa di san Giuseppe, il nostro patrono. Provai anche a coinvolgere gli altri imprenditori, artigiani e commercianti della zona per organizzare insieme una festa del lavoro, che fosse un’occasione di incontro e collaborazione per tutti – domanda e offerta – ma soprattutto di incontro di persone.

Seguirono anni difficili. Mi trovai di fronte a una drastica riduzione dell’attività commerciale. Da tempo mi stavo preparando a questa eventualità e avevo sempre cercato di fare crescere la notorietà e la reputazione del brand Itaca.

Sono occorsi anni in cui dedicammo sempre più energie e risorse sulla produzione editoriale, spaziando dalla varia ai libri per la scuola e per la catechesi, ma ne è valsa decisamente la pena. E siamo al febbraio 2018 quando mia figlia Elisa decide di lasciare il lavoro in una multinazionale per entrare nell’azienda di famiglia come direttore commerciale. Cambia anche l’assetto societario con l’ingresso in società di entrambe le mie figlie. È l’inizio del passaggio generazionale. Non ho mai dimenticato le parole di Madre Maristella, monaca benedettina a Milano: “È il segno che Dio benedice l’opera”. “Perché?” “Perché le dà continuità”.

Guardare a questi 30 anni è per me motivo di profonda gratitudine innanzitutto per la mia famiglia e per i miei collaboratori. Tutta la mia vita e il mio lavoro sono stati mossi dal desiderio di comunicare al mondo un’esperienza di verità e di bene dalla quale ero stato attratto fin da bambino e ho concepito l’azienda sul paradigma del monastero benedettino che ha come scopo la felicità dell’io. Così nel tempo è cresciuto un luogo di lavoro dove l’esperienza di un bene su di sé, di un abbraccio e di un amore al proprio destino è diventata sorgente di indomita costruttività, di cura nel lavoro, di vivo desiderio di contribuire con tutto se stessi all’opera comune che ci è stata affidata. Del resto come potremmo dire che col nostro lavoro vogliamo ridestare la speranza degli uomini se questa non fosse la quotidiana tensione tra noi?

Attualmente a Itaca, oltre a me a Elisa e Daniela, lavorano sette persone, tutte donne, metà delle quali in part time per conciliare il lavoro con la vita e le responsabilità familiari. Numerose le maternità che ho sempre guardato come una benedizione e come occasione di crescita e di maturazione dell’azienda.

In questi giorni scorrono nella mente i volti di tante persone incontrate in questi 30 anni, che hanno incoraggiato e sostenuto con simpatia il mio tentativo. Penso – e mi auguro – percepissero che era il mio contributo a un’opera comune a cui tanti hanno messo mano, ciascuno secondo il talento ricevuto: “Generare una civiltà che nasca dalla verità e dall’amore!”.

di Eugenio Dal Pane

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